Parole nel Secchio

Attinte dal fondo degli animi


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cianfrusaglie

Ma io ho bisogno di loro, il loro scherno
altezzoso e malefico mi aiuta
a vincere l’angoscia dello spazio, a rivestire di nomi l’abisso,
ho bisogno d’infarcire il vuoto
di ciarpame, di rancidi feticci.
Sto ammucchiando forcine, cappelli, provette,
ciondoli di vecchie cassapanche,
nastri, chiavette, luminelli, trucioli
in un denso viluppo, in un ordito
che non lasci passare, che disperda
le lusinghe, le raffiche del nulla.

 

Angelo Maria Ripellino da “Schwitters”

 

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Foto Anke Merzbach


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tra l’oratoria inane delle foglie

Percorro il bosco
per il tempo d’un pianto
che non abbia a indebitarsi
con orecchie umane.
E se chiamo mio padre
è perché nel bosco c’è il suo odore
e il nome non disturberà
l’oratoria inane delle foglie.
Poi un capriolo taglia il sentiero
e la sorpresa mozza il pianto.
Il bosco ha dunque pietà di me.
Ha ascoltato la preghiera di mio padre:
“Leniscilo il dolore a questa figlia
regalale un miracolo animato”.

Laura Liberale

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foto masao yamamoto


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moneta di latta

Non ci saranno più parole, lo sai,
né qui, né altrove,
né parole a dire ciò che è stato
né parole a dire ciò che non è più.
Mi resta un pacco mai spedito
e un libro desiderato.
Mi resta un letto non ancora disfatto
e musiche mute e parole strozzate
e immagini sfocate, e
mi resta la sciatta e affrettata gentilezza
di una conversazione lampo,
moneta di latta
da gettare ai pezzenti per strada.

 

Evgenij Aleksandrovič Evtušenko

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Foto Yamamoto Masao


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ripagare

L’altro giorno mentre rimbalzavo lentamente
tra le pareti azzurre di questa stanza,
saltando dalla macchina da scrivere al piano,
dalla libreria a una busta caduta sul pavimento,
mi sono trovato nella sezione S del dizionario
dove i miei occhi sono caduti sulla parola Scoubidou.

Nessun biscotto sgranocchiato da un romanziere francese
avrebbe spedito qualcuno più in fretta nel passato –
un passato dove io stavo seduto a un tavolo in un campeggio
accanto a un profondo lago dell’Adirondack
imparando a intrecciare strisce sottili di plastica
in uno scoubidou, un regalo per mia madre.

Non avevo mai visto nessuno usare uno scoubidou
né indossarne uno, se è a questo che servono,
ma questo non mi trattenne dall’incrociare
filo con filo, e poi di nuovo,
fino a farne uno scoubidou
quadrato, bianco e rosso, per mia madre.

Lei mi diede la vita e il latte dal seno,
io le diedi uno scoubidou.
Si prendeva cura di me, quand’ero a letto ammalato:
mi avvicinava alle labbra cucchiai di medicine,
mi appoggiava alla fronte freddi panni bagnati,
poi mi portava fuori alla luce ariosa;

e mi insegnò a camminare e nuotare,
io in cambio le regalai uno scoubidou.
Ecco qui migliaia di pasti, disse,
ed ecco i vestiti e una buona scuola.
Ed ecco il tuo scoubidou, le risposi,
che ho fatto con l’aiuto dell’istruttore.

Ecco un corpo che respira e un cuore che batte,
gambe, ossa, denti forti,
e due occhi chiari per leggere il mondo, sussurrò.
Ed ecco, dissi, lo scoubidou, che ho fatto in campeggio.
Ed ecco, vorrei dirle ora,
un dono più piccolo – non l’antica verità

che non si può mai ripagare una madre,
ma la triste confessione che quando lei prese
lo scoubidou a due colori dalle mie mani,
ero certo come certo può essere un bambino
che quell’oggetto inutile e senza valore, che avevo intrecciato
per pura noia, bastava per pareggiare i conti.

 

Billy Collins “Lo Scoubidou”

 

musica – Vashti Bunyan / Fever Ray – Here Before

 

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dipinto nicoletta tomas caravia

 

 

 

 


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senza volerlo, induco in errore

Amico caro,
la mia furia non è di parole,
ma non è neanche di atti:
sono passioni dell’anima,
assolutamente diverse dalle altre.
Nella vita (in una stanza)
io sono tranquilla, educata,
sfioro appena gli altri con lo sguardo
e con la voce –
e non prendo mai per prima una mano.
Con un essere umano io sono ciò che lui vede,
per avermi vera bisogna vedere la me vera,
in me ci sono troppe anime – tutte! –
a volte, senza volerlo, induco in errore…

Marina Cvetaeva

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dipinto kristin vestgard

grazie a http://patriziaercole.wordpress.com/


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accanito

Gli è venuta voglia di felicità, 
gli è venuta voglia di verità, 
gli è venuta voglia di eternità. 
Ma guardatelo!
Ha appena distinto il sonno dalla veglia,
ha appena intuito di essere sé,
ha appena intagliato con mano nata da pinna
un acciarino e un missile,
facilmente affogabile in un cucchiaio d’oceano,
non tanto ridicolo da far ridere il vuoto,
vede solo con gli occhi,
sente solo con le orecchie,
sua lingua ottimale è il condizionale,
con la ragione biasima la ragione:
in breve: è quasi una nullità,
ma in testa non ha che onniscienza, essere e libertà,
al di là d’una carne stolta.
Ma guardatelo!

Eppure sembra esistere,
è accaduto davvero
sotto una delle stelle provinciali.
A modo suo è vivace e assai attivo.
Per un misero degenerato del cristallo –
è davvero alquanto stupito.
Per un’infanzia dura nei rigori del branco –
è già non poco individuale.
Ma guardatelo!

Purché continui, non fosse che per un istante, 
per il luccichio d’una galassia distante!
Che almeno si possa intravedere
cosa ne sarà, visto che è.
Ed è – accanito.
Accanito, va ammesso, e tanto.
Con quell’anello al naso, la toga, il maglione.
Uno spasso, comunque.
Un poveraccio qualunque.
Proprio un uomo.

 

Wislawa Szymborska – “uno spasso”

 

 

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scultura in vetro (particolare)
della serie “Sfere” di Bonaventura – Murano

 

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